28 marzo 2018

La competitività dei settori produttivi: Il rapporto ISTAT

La competitività dei settori produttivi: Il rapporto ISTAT

Nell’ormai consueto appuntamento con Giorgio Alleva, il Presidente dell’ISTAT commenta il Rapporto annuale sulla competitività dei settori produttivi in Italia, sottolineando i punti chiave e aprendo a spunti sugli scenari anche di carattere sociale. Per consultare gli interventi precedenti clicca QUI e QUI. Per un articolo sui key points del 2017 QUI. Al centro quest’anno sono 2 temi: Il riposizionamento delle imprese in coerenza alla diversa fase del ciclo economico. Innovazione e trasformazione digitale, lette anche in relazione alla dotazione del capitale materiale e umano.Non è più sufficiente raccontare la produttività considerando solo i settori o le dimensioni delle imprese su cui il dibattito è annoso, ma occorre farlo in relazione alla propensione ad innovare e alla fase di trasformazione in cui le stesse si trovano.Il focus è pensato anche per una prima valutazione degli effetti del Piano Industria 4.0 (l’accesso e la sua ricaduta sulle performance delle imprese). Parte 1: La ripresa in Italia e nei Paesi UEM Assistiamo ad una ripresa a bassa intensità Il sostegno è venuto dalle componenti interne della domanda, consumi e investimenti Il ritmo è più debole in Italia e Francia, più accelerato in Spagna (che ha attraversato una crisi più profonda ma una ripresa più rapida) Il Italia la fase di recupero del Pil è iniziata con ritardo rispetto alle altre principali economie europeeUn motore importante della crescita è dato dagli investimenti (che spiegano la dinamica di andamento diverso). Nell’ultimo biennio abbiamo assistito ad un recupero degli investimenti materiali – dal 2014 al 2017 il tasso di espansione medio degli investimenti risulta superiore a quello spagnolo.Investimenti immateriali: il vero problemaCapitale umano, brand, formazione, ricerca: in Italia rappresentano una crescita solo dell’ 8,6% a fronte del 17,5% e 17,9% di Germania e Francia e 12,8% della Spagna. È questo, dunque, il vero driver al ribasso della ripresa italiana.Ritardo nel processo di digitalizzazionePiù estesi l’accesso al web e la copertura di imprese con un sito internet ma sulla rilevanza che hanno le connessioni dal punto di vista delle strategie aziendali siamo in ritardo.Le tecnologie a supporto del trattamento e condivisione dei dati di businessQuanto si sono dotate le imprese di applicazioni in riferimento ai processi produttivi? (ERP) per la condivisione di informazioni connesse alla catena produttiva e gestisce il rapporto con i fornitori (SCM) e il front office con i clienti finali (CRM)?I dati rilevano che siamo molto indietro soprattutto lato fornitori e clienti.Il gap rispetto ai partner europei è notevole ma i risultati, in termini di digitalizzazione possono essere rapidi a fronte di maggiori investimenti.  Segnali di ripresa diffusa nel manifatturieroNovità del 2017 è la diffusione della ripresa nei settori produttivi (21 su 23 hanno registrato una dinamica positiva e quasi la metà delle unità economiche attive hanno registrato un aumento del volume di affari a fronte del 37% dell’anno precedente).I risultati migliori dell’anno si registrano nei settori dei mezzi di trasporto e dei prodotti di elettronica. Anche qui, capitale immateriale fanalino di coda con solo il 24,6% di aumento. Un preoccupante shift delle qualifiche verso il bassoAnche a fronte di dati apparentemente positivi come l’incremento di capitale umano, a leggere più al dettaglio, assistiamo ad un ribasso generale di skills e qualifiche. Il panorama risulta eterogeneo ma il sistema nel complesso non si sta arricchendo di nuove competenze.Sul sistema industriale la ripresa è più omogenea, mentre sui servizi c’è una dinamica più altalenante.Il fatturato complessivo è a +3,4% con performance positive nei comparti di trasporti e magazzinaggio, agenzie viaggio e supporto alle imprese, commercio all’ingrosso. Battuta d’arresto per informazione e comunicazione e crescita debole per attività professionali, scientifiche e tecniche. Parte 2: Innovazione e digitalizzazione a livello d’impresaDopo la “selezione” del 2016 in cui avevamo assistito a molte perdite di imprese ma anche a una maggiore internazionalizzazione di quelle che sono “sopravvissute”, l’ISTAT ha voluto approfondire la correlazione di queste ultime con la propensione ad innovare o meno.Tra il 2014 e il 2016 il 48,7% delle imprese con almeno 10 addetti ha svolto attività finalizzate all’innovazione, in questa fetta è possibile distinguere 5 categorie di innovatori: Innovatori forti (innovazione a tutti e 3 i livelli: processi, prodotti e innovazioni “soft” legate a organizzazione e marketing) Innovatori di prodotto Innovatori di processo Innovatori soft Potenziali innovatoriC’è una relazione tra dimensione dell’impresa e propensione all’innovazione, crescente con la dimensione.Anche i settori incidono: nella manifattura oltre un terzo innova, nei servizi sono più frequenti gli innovatori soft (con scarsa o nulla componente tecnologica).I vantaggi dell’innovazione nella performance aziendaleLa vera differenza e il valore aggiunto si può evidenziare tra i due estremi, ossia nel passaggio ad innovatore forte.Nell’industria l’elemento dimensionale ha più impatto, mentre nei servizi l’innovazione incide positivamente sulle performance a prescindere dalla dimensione. Una mappatura della transizione digitaleIl 63% delle imprese non risulta permeabile alla digitalizzazione, è indifferente (non ritiene rilevante la digitalizzazione, non ne vede il vantaggio e non ci investe). Più frequente, questo trend, nelle piccole imprese (fino al 66%, mentre nelle grandi raggiunge solo il 24%).Solo il 3% risulta aver realizzato compiutamente la digitalizzazione e ha anche una dotazione coerente in termini di capitale umano e materiale. Si ha una netta prevalenza, a livello di settore, riferito ai servizi nelle telecomunicazioni, nell’informatica, nelle agenzie di viaggio.Il peso che hanno però le digitali compiute a livello di valore aggiunto è del 24% Poche dunque, ma con un notevole vantaggio competitivo.Esistono poi le imprese “sensibili” (colgono l’importanza del digitale e sono propense ad inserirlo a livello strategico) e le “digitali incompiute” che rappresentano rispettivamente il 9,7% e il 2,3%Il lavoro da fare è sul 22% che è definita “sensibile vincolata” che ha problemi nel passaggio: occorre facilitare le condizioni che consentano l’allargamento della digitalizzazione a questa fascia di imprese.Quali effetti su produttività e occupazione? All’aumentare della sensibilità, aumenta la produttività ma ci sono differenze nei vari gradi di compiutezza o meno del processo. In tutte le classi di addetti, tra le digitalizzate, 1 impresa su 2 ha aumentato i posti di lavoro di circa il 3,5% nel biennio 2016-17 Se però nelle digitalizzate la modifica della forza lavoro è verso figure più qualificate Tuttavia, nel complesso, le impresse a bassa propensione digitale hanno trascinato al ribasso il sistema economico, verso competenze e qualifiche inferiori. La digitalizzazione comporta scelte di investimento su qualifiche e competenze più alte, che si pagano di più.